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L’idrografia

 

I fiumi furono per il Veneto il tessuto connettivo dell’intero quadro geografico regionale e un fattore fondamentale per lo sviluppo degli insediamenti. Bisogna dire che esiste una oggettiva difficoltà nel ricostruire la trama di dettaglio creata in età storica dalle aste fluviali per le variazioni di percorso verificatesi dall’Antichità ad oggi a causa di divagazioni naturali o artificiali. Si tratta quindi di un paesaggio che venne più volte a modificarsi dalla Preistoria all’Altomedioevo. Di lunghezza e portata diversa, i molti fiumi veneti presentavano però comuni caratteri, come il regime costante e tranquillo, che garantiva una loro navigabilità perenne in doppia direzione, e soprattutto un’estensione di percorso in direzione nordovest-sudest dalle sorgenti alpine fino alle lagune e al mare; così era garantita la comunicazione tra tutte le aree della regione. Infatti lungo le aste fluviali si snodavano percorsi che risalivano lagune, pianure, colline e Prealpi per insinuarsi nelle vallate alpine e, più oltre, condurre allo scavalcamento della catena alpina attraverso i passi di Resia e del Brennero (Adige e Brenta), di M. Croce Comelico (Piave) e M. Croce Carnico, Mauria e Sella di Camporosso (Tagliamento). Tale vero “scheletro” di comunicazione funzionò dalla Preistoria all’Altomedioevo per il trasferimento di persone e soprattutto di merci. Esso venne solo potenziato, ma non sostituito, dalla poderosa rete stradale terrestre di età romana.

 

 

La fitta trama dei corsi d’acqua che a raggiera solcano il territorio veneto dall’interno verso la costa

 

La funzione di queste vie fluviali della regione, detta da Servio fluminibus abundans (Servio, In Vergilii Georgica commentarii, I, 262), appariva ben chiara agli occhi del geografo Strabone, che sottolinea come molti abitati fossero collegati al mare da “corsi d’acqua navigabili controcorrente” (Strabone, Geographia, V, 1, 8; Procopio, De bello Gothico, I, 1, 16-23; Cassiodoro, Variae, V, 17).

Fu tale altissimo potenziale di comunicazione proprio dei corsi d’acqua che generò una forza di attrazione nei confronti dei principali abitati antichi, che vennero a disporsi lungo i fiumi in punti strategici di guado, di confluenza o di foce. La relazione degli abitati con i corsi d’acqua diventa così dalla Protostoria la caratteristica più netta di tutta la storia della regione; la celebre descrizione della decima regio di Plinio (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126-130) contiene riflessi continui di questa relazione abitati-fiumi; ma su di essa già prima Strabone si era soffermato, con puntuali osservazioni di morfologia insediativa, osservando come “alcune città sono delle vere isole, mentre altre sono solo in parte circondate dalle acque; e le città esistenti all’interno, oltre le paludi, hanno mirabili vie fluviali” (Strabone, Geographia, V, 1, 5).

Nell’affrontare una rapida disamina di tale fondamentale apparato fluviale da sud-ovest a nord-est appare chiaro come esso sia fondato sui bacini di alcuni corsi d’acqua “egemoni”: il Po, l’Adige, il Bacchiglione, il Brenta, il Sile, il Piave, il Livenza, il Lemene e il Tagliamento. Questi erano dotati di proprie foci a mare e attiravano una serie minore di aste fluviali come l’Illasi, il Tione, il Tartaro, l’Astico, il Tergola, il Musone, il Reghena, il Meduna e altri ancora.

Il Po

Il più meridionale e rilevante tra tutti i fiumi era il Po; questo costituisce oggi il confine della regione a sud e simile doveva essere la sua funzione anche in età storica; il ruolo di principale via d’acqua padana, esaltato da Polibio (Polibio, Historiae, II, 16, 6-12), si rifletteva anche sull’ambito veneto, che doveva essere toccato molto da vicino da questa realtà fluviale; gli studi paleomorfologici hanno infatti rivelato che alcuni dei suoi rami settentrionali defluivano fino a interessare in pieno l’area del Polesine; fondamentale, almeno per tutta l’età del ferro, era il corso del cosiddetto “Po di Adria” che, staccandosi dal Po attuale presso Bergantino/Castelmassa, attraversava il Polesine tra gli attuali Adige e Po per servire lo scalo di Adria; sembra inoltre che altri rami terminali di questo corso salissero ancora più a nord, toccando forse l’attuale Rovigo, per sfociare poco a sud di Chioggia, unendo le loro acque (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 119-121), a quelle dell’Adige, del padovano Togisonus e forse dei rami meridionali del Meduacus/Brenta e del Retrone/Bacchiglione.

L’Adige

Anche l’Adige (l’Atesis delle fonti) aveva un corso in parte diverso dall’attuale. Sceso dalla Vel Venosta lungo la Val Lagarina, usciva in pianura per attraversare Verona; a sud del centro urbano si divideva in due rami, di cui uno seguiva circa la traccia attuale per sfociare verso la zona di Cavanella d’Adige (antica stazione di sosta di Fossis), mentre l’altro seguiva una linea più settentrionale per toccare Montagnana ed Este (che traeva il nome latino di Ateste proprio dall’idronimo); dopo Este, l’Adige tornava a dividersi con un ramo rivolto a sud, diretto a congiungersi con le sue stesse aste meridionali, e un ramo rivolto a nord-est passante per Monselice e volto a sfociare in mare non molto a sud di Chioggia, formando il portum … Brundulum, attuale Brondolo (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 121).

Il Bacchiglione

Del Bacchiglione/Retrone non consociamo con certezza il nome antico; di esso si ha forse solo traccia nel portum … Aedronem di Plinio (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 121) e nella mansio Evrone della Tabula Peutingeriana (segm. III, 5), localizzati presso la Laguna veneta meridionale; con Venanzio Fortunato compare l’idronimo Retenone (Venanzio Fortunato, Vita Sancti Martini, IV, 677) e con l’Anonimo Ravennate Retron (Anonimo Ravennate, Cosmographia, IV, 36). Il suo percorso si presentava sensibilmente diverso dall’attuale, poiché questo corso d’acqua, dopo aver lambito Vicenza, non doveva entrare in Padova, ma scorreva a mezzogiorno della città e si univa nella zona di Vallonga (il portus Aedro = mansio Evrone) alle acque del Brenta per uscire infine in Laguna. Va notato però che secondo ipotesi recenti, non ancora però inserite in un quadro ricostruttivo complessivo della rete fluviale antica, le acque del Bacchiglione avrebbero contribuito ad alimentare l’ansa che attraversava l’abitato di Padova fin da età preistorica.

Il Brenta

Enorme importanza per il quadro storico-geografico del Veneto aveva il Brenta; il suo nome in età romana era Medoacos/Meduacus (Strabone, Geographia, V, 1, 7; Tito Livio, Ab Urbe condita, X, 2, 6; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 121) e solo dall’epoca tardo-romana e altomedievale fu chiamnato Brintesia/Brinta (Tabula Peutingeriana, segm. III, 5; Venanzio Fortunato, Vita Sancti Martini, IV, 677).

Aveva origine, come ora, dai laghi di Levico e Caldonazzo ed usciva in pianura dalla Valsugana (a Bassano del Grappa), tra l’Altopiano di Asiago e l’Acrocoro del Grappa, per dividersi in due rami (citati da Plinio e dalla Tabula Peutingeriana) la cui ricostruzione ha dato adito a infinite discussioni. Sembra che il maggiore (maio Meduaco) mantenesse un tracciato simile dall’attuale fino a nord di Padova (Limena-Cadoneghe) per poi lungo la moderna “Riviera del Brenta”; il mino Meduaco doveva invece scendere più ad ovest, lungo il corso degli attuali fiume Ceresone/scolo La Storta e probabilemente entrare in Padova da occidente per fomare l’ansa ancora leggibile nel tessuto cittadino.

Un’altra ipotesi prevede che, almeno dall’età del bronzo, le acque del Brenta scendessero solo lungo la direttrice Bassano-Limena e che non fosse più attivo il ramo occidentale del fiume stesso; si è proposto così che l’ansa su cui sorse Padova, pur appartenente ad un paleo-Brenta di età preistorica, fosse occupata in epoca storica dalle acque del Bacchiglione proveniente da Vicenza. Questa nuova ricostruzione deve ancora essere sottoposta al confronto con i dati archeologici e soprattutto con le fonti (tra cui Livio e Strabone): queste sono infatti concordi nell’indicare il Brenta come il fiume che bagnava la citta e la univa al mare e mai fanno cenno all’ipotizzato collegamento fluviale diretto tra Vicenza e Padova.

Alla periferia sud-orientale della città, il fiume doveva dividersi poi in ulteriori diramazioni per dirigersi verso il mare. I problemi maggiori nella ricostruzione idrografica del Brenta nascono proprio nel tentativo di delineare le forme del delta che i due rami (Maio e Mino Meduaco) formavano ad est/sud-est di Padova tra la “Riviera del Brenta” e l’area di Chioggia. L’esame comparato dei dati geomorfologici, dei dati archeologici e delle fonti antiche non ha dato finora spazio a ricostruzioni sicure dell’articolazione nel tempo di questi numerosi rami con cui il fiume doveva sfociare in Laguna. E’ probabile che non tutti i numerosi sbocchi individuati da nord a sud (Porto Menai/S. Ilario, Porto Menai/Le Giare, Sambruson/Lugo, Lova, Vallonga/Rosara, Vallonga/Fogolana) siano stati attivi contemporaneamente tra la Protostoria e l’Altomedioevo.

E’ stato proposto che nella tarda età del ferro maggiore importanza avesse il ramo di Lova, il cui importante ruolo sembra essere passato più tardi verso ai rami meridionali e settentrionali. Probabilmente è proprio al ramo di Lova che si riferisce Strabone quando afferma che “si risale alla città [Patavium-Padova] lungo un fiume che partendo da un grande porto scorre attraverso le paludi per 250 stadi” (Strabone, Geographia, V, 1, 7). In linea generale sembra di poter riferire i rami settentrionali del fiume al maio Meduaco e i rami meridionali al mino Meduaco.

Il Piave e il Sile

Il Piave ebbe un ruolo decisivo nel quadro geografico per i rapporti tra Adriatico e aree transalpine. Il suo nome compare però per la prima volta solo nel VI sec. d.C. in Venanzio Fortunato (Patr. Lat. LXXXVIII, c. 62: Miscellanea, prologus) e più tardi nell’Anonimo Ravennate (Anomino Ravennate, Cosmographia, IV, 36). Originatosi presso i passi di M. Croce Carnico e M. Croce Comelico, il fiume percorreva come ora la valle omonima, transitava per Belluno e Feltre e defluiva con più rami verso la linea di costa poco a nord della Laguna veneta (S. Donà di Piave). Non si può escludere che in antico esistesse una qualche relazione diretta tra il corso del Piave e quello di un altro fiume, il Sile; questo nasceva in pianura dalle risorgive di Casacorba (a 17 km. da Treviso) e sfociava in Laguna presso lo scalo di Altino, non distante dalla foce dello stesso Piave, ma viene ricordato da Plinio come proveniente ex montibus Tarvisanis (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126). Per spiegare questa affermazione sull’origine del Sile si è ipotizzato che l’autore antico semplicemente confonda i due fiumi (eventualità poco probabile), attribuendo al Sile quell’origine montana che era propria del Piave; sembra invece più logico pensare che esistesse in antico una confluenza tra un ramo del Piave (forse lungo il Musestre) e l’asta del Sile a sud di Treviso, così da motivare l’affermazione dell’autore. Resta aperto in ogni caso il problema del silenzio di Plinio circa il corso del Piave e le sue importanti foci.

Il fiume Sile (fotografia tratta dal sito www.parchiveneto.it)

 

Il Livenza e il Lemene

Ad est del Piave il sistema fluviale veneto antico era dominato da tre corsi di maggiore importanza. Il Livenza, proveniente ex montibus Opiterginis (ma in realtà da risorgenza carsica), non doveva interessare direttamente importanti insediamenti urbani, seppure fosse collegato ad Oderzo tramite affluenti, e andava a formare il portus eodem nomine (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126) posizionabile forse nella zona di Brian. Ancora più ad est, l’attuale area di Portogruaro e di Concordia Sagittaria era invece interessata dal corso del Reatinum, che pure la descrizione pliniana ricorda legato all’omonimo porto a mare (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia III, 126 e Strabone, Geographia, V, 1, 8); questo corso d’acqua è probabilmente identificabile con l’attuale Lemene, piccolo corso di risorgiva, che a valle della città riceveva le acque del più modesto Reghena prima di sfociare a mare nella zona di S. Gaetano e Caorle-Falconera.

Il Tagliamento

Il più orientale dei fiumi che interessa il Veneto attuale è il Tagliamento già limite nella seconda età del ferro della culturale veneta. Formatosi da un ricco ventaglio di affluenti che guidavano ai valichi alpini centro-orientali (Mauria, M. Croce Carnico, Sella di Camporosso), il fiume scendeva in pianura e si divideva, poco a sud dell’odierna S. Vito al Tagliamento, in due rami, ricordati da Plinio come Tiliaventum Maius Minusque (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 126). Le loro foci dovevano all’incirca corrispondere all’odierna Porto Baseleghe (Tiliaventum Maius), presso Bibione Pineda, e alla zona di Bevazzana (Tiliaventum Minus), presso Lignano Pineta.

I fiumi nel tempo

Il quadro dei percorsi fluviali fin qui descritto non deve però ritenersi stabile nell’ampio arco di tempo che va dalla Preistoria all’Altomedioevo, ma solo una ricostruzione valida soprattutto tra l’età del ferro e l’epoca romana. In questo arco di tempo le testimonianze archeologiche e le fonti ci permettono di tracciare con maggiore affidabilità il panorama qui esposto. Moltissimi dubbi riguardano così la rete fluviale in epoche più remote (età del bronzo e precedenti) e certamente possiamo pensare a sconvolgimenti della stessa nell’epoca della tarda Antichità e dell’Altomedioevo. E’ certo ad esempio che già probabilmente dal VI sec. d.C., in seguito al diluvio (e alla “Rotta della Cucca”) del 589 d.C. narrato da Paolo Diacono (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 23), l’Adige abbandonò per sempre la sua traccia settentrionale per Montagnana ed Este; a questo periodo, o ai secoli successivi, vanno ascritte altre modifiche sostanziali, che portarono probabilmente le acque del Meduacus/Brenta a lasciare il ramo passante per il centro di Padova, occupato poi dal Bacchiglione, o il Po a perdere le terminazioni più settentrionali dirette verso l’area meridionale della Laguna veneta.

Le modifiche più radicali, che spiegano l’assetto moderno, furono però opera degli ingegneri veneziani del tardo Medioevo e del Rinascimento, preoccupati ad operare numerose diversioni delle foci fluviali (Po, Brenta, Bacciglione, Sile, Piave) per scongiurare il rischio dell’eccessivo apporto solido nelle lagune e il loro fatale interro.